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Il 5 maggio scorso, al convegno di presentazione dell'ultimo rapporto Tutti i numeri del cinema italiano sull'attività cinematografica del 2014 (elaborato dall'unità di studi congiunta DG Cinema/ANICA), Nicola Borrelli, Direttore Generale Cinema del MiBACT, ha in effetti messo a fuoco, tra i punti di debolezza del cinema nazionale, la prevalente omologazione a modelli di business arretrati e i riflessi sulla qualità delle opere derivati dal minore investimento di risorse a loro sostegno, soprattutto nelle classi di costo più basse, a fronte della realizzazione di un maggior numero di titoli. E Riccardo Tozzi, Presidente di ANICA, l'Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali, ha sottolineato come l'incombente processo di "miniaturizzazione della produzione" (come l'aveva definito già nel precedente convegno del 2014) sia portatore di potenziali ripercussioni su tutta la filiera, sussistendo una diretta correlazione tra il livello dei budget e quello degli incassi, generalmente allineato alla curva dei costi1.
Tanti progetti prodotti con uno scarso apporto di risorse hanno effettivamente possibilità limitate (quando riescono ad approdare al circuito dell'esercizio) di programmazione e di giorni di "tenitura" nelle sale e il rischio finale è che a deprimersi sia lo stesso botteghino, in termini di ingressi e di biglietti venduti. Si tratta in larga misura di opere prime e seconde, realizzate da autori e registi di nuova generazione nell'alveo delle società indipendenti di recente costituzione, e il loro impegno può essere considerato il prezzo che una cinematografia deve pagare se vuole innovare e rinnovarsi, trovando nuovi talenti e percorrendo strade inesplorate. Il problema affiora in sede di bilancio complessivo, ossia nell'eventualità che il volume finanziario di questa "sovra-produzione" di rango formativo vada a discapito dell'economia generale del sistema, procedendo per sottrazione delle risorse invece che per via addizionale.
Fra gli operatori è opinione diffusa comprovata d'altronde dall'esperienza che sia molto difficile, se si risparmia sopra e sotto la cosiddetta linea (di visibilità) dei costi, raggiungere risultati soddisfacenti o quantomeno proporzionali all'impegno profuso. Per questo nel cinema nazionale sembra entrato in sofferenza uno dei fattori essenziali dell'attività industriale, ossia il valore per unità di prodotto. Una prima cartina di tornasole è fornita dalla ripartizione per classi di budget dei film d'iniziativa italiana (tavola 3). Nella successione dei dati riferiti all'investimento medio a film si riverbera la sensazione che attualmente sia più appropriato parlare di disvalore piuttosto che di valore quale unità di misura dell'indicatore di produzione.
1Resoconti delle agenzie d'informazione ANSA e Askanews di Roma del 5 maggio 2015.